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20200328 MF Giancarlo FuscoLa quarantena gioca brutti scherzi, magari ti capita di leggere, o meglio rileggere, cose che avevi dimenticato e che l’attualità, per incomprensibili e imperscrutabili motivi, riporta a galla. Vi riporto due brani, uno di Giancarlo Fusco e l’altro di Macchiavelli. Il primo è il ritratto del soldato Sanna tratto dal volume Guerra d’Albania di Fusco. Un soldato sardo che anche in guerra non ha rinunciato all’umanità, il secondo è un pezzo tratto dai “Ritratti delle cose dell’Alamagna” scritto da Macchiavelli nel 1512.

Dalle memorie Guerra d’Albania
… Sulla strada fra Gianina e Prèvesa (due città greche dell’Epiro), un richiamato sardo del ’12, certo Sanna, alto appena da non essere riformato, quasi più largo che lungo, dalle sopracciglia d’ebano confuse con l’attaccatura dei capelli, si staccò un momento dalla colonna in marcia, per dare mezza pagnotta a due bambini seminudi, dagli occhi pieni di spavento, stretti sulla porta di un casolare. C’era un tedescone della Feldpolizei, in quei pressi, e il gesto dell’italiano non gli piacque. «Nichts Schwanke!» niente debolezze, gridò il nazista, e con una sberla fece rotolare lontano, nella polvere, la mezza pagnotta.

Il soldato Sanna, dopo un attimo di perplessità, digrignò i denti. Lo stridore dei suoi forti molari fu udito dai compagni che gli stavano sfilando alle spalle, a cinque metri di distanza. Poi, il piccolo sardo urlò con tutto il suo fiato: « Era il mio, il pane! ». Quindi lo si vide arrampicarsi al tedesco, come ad un olmo, stringergli il collo con le braccia, e la vita con le gambe, frantumargli letteralmente la faccia con una tremenda serie di testate. Dopo aver tentato disperatamente di liberarsi, il tedesco crollò nella polvere. Il sardo non mollò la presa. Gli restò abbrancato, a cavalcioni, anche per terra, continuando a demolirgli furiosamente il naso, le labbra e le sopracciglia di paglia. La fronte bassa e scura dell’italiano, intrisa di sangue, contusa, lacerata dai denti del gigante atterrato, batteva e batteva, come un martello. « Era mio, il pane! ».

Sanna ripeteva il suo urlo, mentre quattro o cinque commilitoni cercavano, mettendocela tutta, di staccarlo dalla preda. Il tedesco emetteva muggiti gorgoglianti. Il sangue gli colava a rigagnoli sulla pettorina metallica. I suoi stivali a sorbettiera scalciavano nella polvere, sempre più fiacchi. Il fante sardo, con la faccia sporca del suo sangue e dell’altro, fu portato di fronte al comandante di battaglione. « Cos’hai fatto, disgraziato!», gridò il maggiore. «Per poco non lo ammazzavi! Un tedesco! Figurati ora che cosa succede! »
« Era mio, il pane! ».
« E con ciò ? Lo sai che per mezza pagnotta finisci in galera ? »
« Ci vado volentieri. Ma il pane non era né di Mussolini, né di Hitler, né vostro, signor maggiore! Era mio. E io in Sardegna ci ho due bambini! »

Marco Fascina
continua...

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